LE TERAPIE BREVI VANNO A FONDO?

E’ idea diffusa che le terapie brevi intervengano solo sul sintomo, inibendolo per il tempo necessario affinché il problema si converta in un nuovo sintomo. Lo sento dire spesso, a volte perfino da colleghi di altri approcci, da professionisti che dovrebbero avere la competenza necessaria per sapere di cosa parlano.

Ritengo che tale pregiudizio origini in buona parte dal concetto di tiefenpsychologie introdotto dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler nel 1914, in Italia tradotto con le parole psicologia del profondo. L’espressione è riconducibile agli indirizzi della psicologia che correlano l’Io con strati psichici non attinenti all’Io medesimo, ossia agli approcci che postulano la presenza di meccanismi psichici inconsci, a cui si riferiscono per spiegare il comportamento e lo psichismo umano. Oltre alla psicoanalisi classica, quindi, rientrano nella psicologia del profondo anche i movimenti sviluppatisi sulla sua scia (riconducibili, ad esempio, a Klein, Winnicott, Sullivan, Horney, Fromm, Lacan, e altri) così come quelli nati in dissenso con essa (Jung, Adler, Lowen, ecc.): da ognuno di questi filoni ha origine una scuola di pensiero e un approccio psicoterapico che  indaga appunto ‘il profondo’.

Il termine profondo, mi pare chiaro, non è quindi usato per rappresentare la parte più interna di un organo, ma per definire una dimensione psichica, quella dell’inconscio; non ha niente a che fare con un continuum che va dalla superficie alla radice di un problema o di un sintomo, ma è solo un concetto filosofico elaborato quando nel campo clinico le conoscenze relative al cervello e alle sue funzioni erano praticamente nulle. Eppure sono molti i luoghi comuni che da questa parola hanno origine.

Espressioni come “le terapie brevi si occupano del sintomo, restano in superficie”, oppure “se un problema non lo curi in profondità non si risolve”, o ancora “la causa è profonda, se non estirpi quella il sintomo si ripresenta”, o anche “per curare un problema psicologico bisogna andare in profondità, ci vuole tempo” sono sulla bocca di tante persone, tutte vittime della stessa disinformazione, convinte che esistano psicoterapie più ‘intense’ che affrontano i problemi in maniera totale e definitiva, e psicoterapie più ‘lievi’, che ne modificano solo la facciata. Due livelli di intervento, insomma, uno più importante l’altro meno, uno più lungo l’altro più veloce.

Per usare una metafora, si potrebbe dire che così descritto il disagio mentale appare come un brufolo che alcuni terapeuti nascondono sbrigativamente sotto uno strato di cipria – destinato prima o poi a scomparire facendo riemergere lo sgradevole rossore – e altri invece eliminano con un lungo intervento che ne estirpa la radice: esattamente quello che non è.